Cronache dal ‘confine difficile’

Inizia dal Sacrario di Redipuglia e il viaggio ‘dentro’ la Storia del ‘confine difficile’con cui termina il percorso didattico e formativo che ha visto nei mesi scorsi impegnati decine di studentesse, studenti e docenti dell’IIS ‘da Vinci – Fascetti’, dell’IIS ‘Santoni’ di Pisa e dell’IIS ‘Brunelleschi – Ferraris’ di Empoli.

Le studentesse e gli studenti selezionati, accompagnati dai propri docenti si sono riuniti agli altri partecipanti provenienti da 25 scuole di tutta la Toscana che hanno aderito al progetto della Regione Toscana Per una storia del confine difficile: l’Alto Adriatico nel ‘900, coordinato dall’ISGREC di Grosseto nell’ambito delle attività della Rete Toscana degli Istituti Storici della Resistenza.

Un viaggio emozionante che porterà studentesse e studenti a vedere con i propri occhi alcuni dei luoghi simbolo della tragica storia del ‘900 e di cui si sono occupati nel corso degli incontri precedenti.

Un viaggio che potremo seguire in presa diretta grazie ai reportage dal vivo realizzati dalle studentesse e dagli studenti coinvolti nel progetto pubblicati sul sito quinos.it e sui canali social (sito, facebook, twitter e instagram) della Domus Mazziniana.

I Tappa

Redipuglia – Sacrario militare

Struttura d’epoca fascista (inaugurato da Mussolini nel settembre del 1938), al tempo riguardava la potenza e la forza del movimento fascista, dimora dell’autoproclamata “Armata in vita”.
Ad oggi la memoria persiste ma con ideologia avversa, in questo stesso luogo risiede il ricordo degli orrori della guerra. Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

II Tappa

Trieste

Una guida di eccezione per una città eccezionale: lo storico Triestino, di origine slovena, Stefan Cok che ci ha accompagnato nei luoghi più significativi di di Trieste; città fulcro di numerosi eventi storici del confine orientale.
Ripercorrendo la storia di Trieste, non si possono non evidenziare i problemi d’identità nazionale dei cittadini si dalla alla fine del diciottesimo secolo.
Come esposto dallo storico Cok, il triestino è sempre stato frammentato tra tre identità nazionali: italiana, croata e slovena. Ad aggravare questa situazione, si aggiunsero le problematiche legate allo scoppio della prima guerra mondiale, causate in particolare dal forte sentimento irredentista italiano.
Il primo segnale dei problemi identitari avvenne con l’entrata in guerra degli imperi centrali, quando l’impero asburgico chiamò alle armi Trieste, al momento parte dell’impero.
Quando l’Italia entrò nel conflitto, volse le spalle all’alleanza, ottenendo il maggior profitto dai futuri vincitori.
Stipulando segretamente il patto di Londra, l’Italia si era garantita Trieste, l’Istria e la Dalmazia, fomentando così il sentimento irredentista, che divenne il motivo centrale per cui combattere.
Al concludersi della prima guerra mondiale, la questione geopolitica era stravolta: col crollo dell’impero asburgico, Trieste si trovò impreparata e le già presenti incomprensioni legate al multiculturalismo della zona, che favorirono l’avvento degli squadristi fascisti.
Il primo atto estremista fascista avvenne nel 1920, con l’incendio doloso del Narodni Dom. Questo atto segnò l’inizio del processo di snazionalizzazione e assimilazione dei cittadini e delle usanze.
Nel 1938 Mussolini scelse di promulgare le leggi razziali a Trieste in piazza Unità, data la rilevanza politica e geografica della città.
Con la fine della seconda guerra mondiale, si verificò il fenomeno della “Corsa a Trieste”; infatti generalmente un territorio neutro veniva conquistato dal primo esercito che lo raggiungeva.
Nella seconda metà del ventesimo secolo la città, secondo l’articolo 21 del trattato di Parigi, vive la sua storia come stato libero (TlT), annettendosi definitivamente all’Italia nel ’75 col trattato di Osimo.
Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

III Tappa

Gonars: campo di concentramento fascista

Il campo riservato agli internati jugoslavi fu attivo dalla primavera del 42 fino all’8 settembre del 43. Qui furono rinchiusi circa 4000 tra donne uomini e bambini, di questi 500 morirono.
Il memoriale è composto da quattro opere incastonate su cippi, riprese dai disegni fatti da deportati.
La lavanda che circonda il memoriale, che rimanda al filo spinato che circondava il campo, si espande nel tempo in modo indefinito deformando il confine.
Un’altra particolarità del memoriale è l’assenza di date incise simbolo di dover ricordare a prescindere di quando sia successo. Stefano Anguillesi, Filippo Cataldi (IIS Brunelleschi – Ferraris, Empoli)

IV Tappa

Trieste: Narodni Dom

Il Narodni Dom in sloveno “casa nazionale” o “casa della cultura” fu costruito tra il 1902 e il 1904. Fu il centro della vita economica, politica ,culturale, artistica e sociale della minoranza slovena triestina. Nel 1920 l’edificio fu distrutto da un incendio per mano di fascisti. Oggi appartiene all’università degli studi di Trieste presso la cui Aula Magna abbiamo seguito gli interventi di Daniela Schifani-Corfini Luchetta, presidente della fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin, di
Aleksander Koren, direttore della testata della comunità slovena Primorski Dvevnik e di Pierluigi Sabatti, direttore del quotidiano triestino Il Piccolo.

I relatori hanno chiaramente mostrano che se la storia è affare serio e va indagata in modo rigoroso, la memoria è soggettiva e fallace. Allora è stato bello ascoltare le storie individuali e quindi diverse perché ricostruite dalla memoria di chi ha vissuto le esperienze di questa “tettonica a zolle culturale” che è questa parte d’Europa, come l’ha definita il prorettore dell’Università di Trieste.
Stefano Anguillesi, Filippo Cataldi (IIS Brunelleschi – Ferraris, Empoli)

V Tappa

Basovizza

In memoria di quanto accaduto nel 1930 a Basovizza è stato eretto un pilastro, monumento in ricordo dei 4 antifascisti sloveni appartenenti al TIGR (Trieste, Istria, Gorizia e Rijeka), morti giustiziati in seguito dell’attentato ad uno dei giornali fascisti di Trieste. Cosa fecero: un gruppo di 9 antifascisti attentò con una bomba uno dei giornali di Trieste. Dei 9 processi solo 4 sentenze vennero emesse. Essi vennero processati e giustiziati nell’allora poligono di tiro. In memoria, dietro al pilastro vennero poste 4 lapidi.

Ma queste terre sono state teatro di ulteriori episodi in questo tragico contesto di guerra totale, che porta a una frammentazione di identità. Infatti, dal 1943 al 1945 vennero usate le cavità carsiche (foibe) presenti a Basovizza come luogo di esecuzioni da parte di jugoslavi contro italiani: ad esempio, coloro che indossavano una divisa, percepita come simbolo di una identità nemica (persino i bidelli).

Successivamente, con l’arrivo degli Americani, vi fu il tentativo di riesumare i corpi, ma nonostante gli sforzi ne furono riscoperti solo una decina, poiché le ricerche furono fermate, per motivi al tempo non definiti.

Al giorno d’oggi, in memoria di ciò abbiamo 2 monumenti: il primo una lapide che riporta i dati di quella foiba e simboleggia in generale questa tragedia; il secondo rappresentante lo sforzo degli Americani di riportare alla luce quanti più corpi possibile.
Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

VI Tappa

Risiera di San Sabba

Un’altra tappa importante del viaggio è stata la Risiera di San Sabba a Trieste, l’unico lager nazi-fascista in Italia dotato di un forno crematorio.  Da qui sono partiti i 2/3 di tutti i convogli di deportati dall’Italia verso i lager nazisti. I nazifascisti, al momento della loro ritirata, fecero saltare in aria il forno crematorio e parte della struttura che oggi è possibile visitare anche grazie al restauro che ha puntato alla monumentalizzazione del sito data la necessità di non perdere la memoria.

L’ingresso suscita nei visitatori una sensazione di oppressione con le sue mura alte 11 metri in cemento armato che si replica nel perimetro del cortile centrale. L’area dove era presente il forno attualmente è coperto da delle lastre di metallo mentre la ciminiera del forno è stata sostituita da un monumento composto da travi in metallo verticali che ricordano il fumo che usciva dal camino.
Stefano Anguillesi, Filippo Cataldi (IIS Brunelleschi – Ferraris, Empoli)

VII Tappa

Magazzino 18

Un memoriale o un museo?
Visitando il Magazzino 18, abbiamo potuto osservare quello che è la memoria dei profughi che hanno vissuto l’esodo.
È aperto al pubblico da circa 10 anni, da quando Simone Cristicchi ha deciso per volontà propria di visitare questa memoria. Da allora è divenuto visitabile.

Alla fine della guerra, con l’assegnazione dell’Istria alla Jugoslavia di Tito, agli Istriani è stata posta una scelta: rinnegare il loro passato o fuggire in Italia.
Per non abbandonare la loro storia, in molti decisero di portare via dalle loro case i loro averi di uso quotidiano e di andarsene spargendosi per tutta Italia e per tutta Europa.

Le persone scappate inizialmente portarono i loro averi di vita quotidiana nel Magazzino 26; successivamente, per la demolizione del magazzino, dovettero trasferire le loro masserizie nel Magazzino 22. A causa di un incendio, venne bruciata una parte dei loro possessi e ciò che si salvò venne portato nel Magazzino 18.

Dopo la visita fatta abbiamo constatato che il Magazzino 18 non può essere definito museo, poiché un museo è una raccolta specifica organizzata da uno storico. D’altra parte, non può essere definito Memoriale, poiché un memoriale è un monumento ideato da delle istituzioni per far riflettere una comunità pubblica.
Al contrario, Magazzino 18 espone una raccolta di memorie personali che si apre al pubblico solo in seguito, e resta gestito dalla comunità degli esuli.

Nonostante ciò, una volta entrati, si prova una emozione, un sentimento, come se il tempo tornasse indietro a quel periodo e si congelasse.
Il tempo “congelato” in quel magazzino è quasi opprimente a causa della quantità di oggetti.

Dunque, quello che siamo andati a vedere, come definito dal suo direttore, è “solo una umile raccolta di masserizie”, ma che nello stesso tempo trasmette la tragedia, per ogni esule, dell’abbandono e della separazione.
Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

VIII Tappa

Il Primorski Dvevnik

Il giornale triestino Primorski Dvevnik, che compie 75 anni nel 2020, è figlio del giornale clandestino “Quotidiano partigiano” fondato dai partigiani italosloveni che sulle colline intorno a Trieste si opposero all’occupazione nazifascista.
Lo si può definire un quotidiano tridimensionale: la prima dimensione è quella che riguarda la realtà della comunità slovena di Trieste. La seconda dimensione è quella comune ad un qualunque quotidiano che tratta temi politici nazionali e locali accanto a temi di attualità e di cronaca. La terza dimensione è transfrontaliera e tratta le questioni della confinante Slovenia e guarda in generale all’ex Jugoslavia.
Insieme a Il Piccolo, Primorski Dvevnik ha contribuito non poco a fare dialogare le varie anime della città sui temi che abbiamo avuto modo di affrontare in questi giorni tanto che se le barriere non sono cadute del tutto, si sono sicuramente abbassate.

È da notare però la grande importanza che ha un giornale in lingua d’origine per la minoranza slovena perché la rappresenta: si contano infatti più di tremila abbonati alla rivista. Stefano Anguillesi 5A, Filippo Cataldi 5B (IIS Brunelleschi-Ferraris), Flavio Mancini 4Inf/B (IIS da Vinci-Fascetti)

IX Tappa

Fiume

Fiume è una città costiera dell’Istria che ha avuto una storia di multiculturalismo.
Nella sua storia Fiume si è ritrovata ad appartenere a 5 stati diversi in un arco di tempo molto breve; nonostante questo, la popolazione fiumana ha fondato la forza della sua identità nel multiculturalismo.
Nel multiculturalismo fiumano la componente italiana è sempre stata vivace e fondamentale e ha contribuito con la sua cultura all’identità della città.
Gli Italiani di Fiume si trovano, come tutte le zone passate alla Jugoslavia, a subire l’esodo.
Come dice Raul Pupo: il processo di urbicidio si può attuare in due modalità, o vengono distrutte fisicamente tutte le strutture del luogo o viene costretta la popolazione ad abbandonare il luogo stesso per sempre. Quest’ultimo avviene anche a Fiume alla fine della seconda guerra mondiale a seguito dell’occupazione Titina.
Nonostante il pesante esodo avvenuto negli anni a seguire la seconda guerra mondiale, la comunità italiana rimasta a Fiume ha rafforzato il proprio senso di appartenenza sia alla città, sia al proprio sentimento italiano.

Oggi i ragazzi che abbiamo conosciuto durante la visita al liceo italiano parlano non solo la lingua croata, ma anche quella italiana e nello stesso tempo molto spesso in famiglia usano il dialetto fiumano.
In occasione di Fiume capitale europea 2020 è stata presa una decisione di mettere targhe multilingue, croata e italiano delle piazze e delle vie più importanti. Esse sono state introdotte per mantenere viva la componente italiana nella multiculturalità dell’identità fiumana. Filippo Cataldi (IIS Brunelleschi-Ferraris, Empoli); Melissa Pasmaciu (IIS “Santoni”, Pisa)

X Tappa

Pisino

Pisino è una città che ha avuto un ruolo importante per le foibe del ‘43.
Dopo la liberazione dal “giogo degli oppressori italiani” le nuove leve allogene si insediarono al potere dei vecchi antifascisti e iniziarono, nonostante le ridotte dimensioni del paese e del castello, una serie di arresti illegittimi di centinaia di persone, accusate di aver commesso atti di fascismo o sospettate di averlo fatto. Molto spesso persone innocenti venivano prese e rinchiuse a causa del “victim blaming”.
Ma cosa è il victim blaming?
Victim blaming è il sospetto che le persone, attraverso accuse senza prove certe, hanno sulle azioni passate di un individuo. Il solo sospetto ha fatto dunque sì che questi individui venissero mandati in carcere per precauzione e, senza sapere nulla, poi scomparivano nelle foibe. Di molti il corpo non fu più nemmeno ritrovato.
A causa di ciò, Pisino veniva vista come tappa finale prima della morte: per le persone un posto tremendo in cui era meglio non stare.

E ora? Come è visto un paese usato per uno scopo così brutale? Essendo stato colpito anch’esso dall’Esodo, che ha interessato tutta l’Istria, ora quella paura si è trasformata in silenzio, ma non silenzio delle persone, bensì delle case, essendo esse a non emettere più nessuna storia all’infuori della fuga di massa avvenuta in seguito.

Come ci si immagina una città svuotata?
Pisino è un chiaro esempio di cosa rimane dopo un Esodo.
Visitando la città abbiamo potuto notare come per tutte le strade i circa 8000 abitanti fossero inesistenti.
Sembrava come se ci fossimo ritrovati in una città fantasma, con resti di case crollate e strade svuotate.
Giacomo Sbaragli (IIS da Vinci-Fascetti), Arbesa Spahiu (IIS Santoni)

XI Tappa

Laterina

Il campo di Laterina, campo profughi dal ’48 fino al ’63, ha ospitato migliaia di persone con le sue 18 baracche. Cifra notevole dato che l’intero comune contava solo 3000 abitanti, e ha visto in pochissimo tempo raddoppiare la popolazione. Il campo, oltre ad ospitare molti profughi, ha provveduto, attraverso l’organizzazione di corsi specifici, alla reintegrazione nel mondo del lavoro per tutti gli esuli, difficoltoso per il fatto che molti praticavano lavori legati al mare.

XII Tappa

Il ritorno … il ricordo

Il Viaggio è terminato ma non il ricordo del suo valore e delle esperienze che esso ha comportato:

Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte. Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte. (C. Magris, L’infinito viaggiare, 2005)